A volte preferiremmo non sapere, e vale anche per quello che avviene nel nostro cervello. Ne ho avuto la prova negli ultimi giorni, di fronte alle contorsioni mentali causate da una domanda che Giovanni Floris mi aveva posto durante la trasmissione Dimartedì. Perché contorsioni mentali?
Andiamo con ordine. La domanda di Giovanni Floris era questa: “Anche di fronte all’evidente gravità della pandemia da coronavirus c’è chi si ostina a negarla. Addirittura c’è chi evoca complotti, non si sa peraltro da parte di chi. Ma cosa può succedere? Quanti danni può fare il cosiddetto negazionismo?”. Nel rispondere ho citato un commento di un neuroscienziato esperto in malattie neurodegenerative di nome Bruce Miller, pubblicato sull’autorevolissima rivista scientifica Jama. Miller ha ipotizzato che le false convinzioni si radichino nel cervello di chi nega l’evidenza tramite un meccanismo parzialmente simile a quello che si verifica in alcune demenze, Solo che nel caso della malattia, sono i sensi a restituire al cervello una immagine falsa della realtà, nelle persone sane invece questa immagine falsa si instilla nella mente per via della difficoltà a distinguere le informazioni giuste da quelle sbagliate. Ho proseguito quindi dicendo che di fronte alla emergenza posta dal nuovo coronavirus è comprensibile essere attratti dall’idea di negarne l’esistenza o la pericolosità, ma si tratta di una illusione, per giunta pericolosa. Questo in sintesi, l’ìntervento completo è qui
Dunque sia nella domanda che nella risposta si sottolineava che si stava parlando di chi nega l’esistenza o la pericolosità del coronavirus, non di altri. Ribadirlo però non ha impedito quelle che ho chiamato contorsioni (mentali). Qualcuno infatti ha fatto finta di vedere un attacco a chiunque non sia d’accordo con le misure del governo per contrastare l’epidemia. Le contorsioni si sono poi trasformate in acrobazie degne del più ardimentoso degli scoiattoli volanti, quando d’un balzo hanno portato a paragonare l’argomento di Miller con le persecuzioni dei dissidenti nell’Unione Sovietica. Per toccare punte di virtuosismo assoluto in qualcuno che ha negato l’esistenza dei negazionisti, affermando che non esiste al mondo chi ritiene il coronavirus non pericoloso: queste figure immaginarie le avremmo inventate io ed altri, tanto per avere un nemico contro il quale scagliarci
Allora nel citare l’articolo di Jama è stato leso qualche diritto?
Cominciamo dai fatti: il virus Sars-CoV-2 esiste ed è estremamente pericoloso: in un numero consistenti di casi uccide o fa stare molto male. A quanto ne sappiamo oggi, il modo più efficace contrastarlo è limitarne la diffusione, proteggendoci con mascherine, distanziamento, disinfezione, ed evitando di affollarci. Negare questi punti è come negare che esistano gli incidenti su strada: non ha senso. Si può comunque? Dipende: non se questo induce a mettere a rischio la vita degli altri. Una cosa è negare a tavolino l’esistenza degli incidenti d’auto, un’altra è comportarsi di conseguenza infilandosi a tutta velocità in autostrada contro mano. Se negare l’esistenza del virus porta a comportarsi in modo da diffonderlo, la società ha diritto di tentare di impedirlo. Perché il pericolo esiste, e se qualcuno contagia altri può ucciderli: non possiamo evitare del tutto che il contagio avvenga, ma è giusto che ci sia richiesto di stare attenti. Un conto è provocare un incidente per un involontario imprevisto, un altro è andare a cercarselo. Anche provare a evitare di contagiare se stessi sarebbe opportuno, perché se mi espongo volontariamente al rischio poi, in caso, la collettività dovrà occuparsi di me nelle strutture sanitarie, magari lasciando indietro altri arrivati dopo o che avrebbero diritto a interventi anche se meno urgenti.
Invece è lecito discutere dell’opportunità delle misure prese per contenere il virus? Assolutamente sì, e infatti mi pare che tutti noi non facciamo altro. Di fronte all’emergenza dovuta all’epidemia, le autorità prendono atto dei fatti noti e disegnano delle misure per arginare il virus. Provvedimenti che inevitabilmente cercano un compromesso tra quello che sarebbe ideale fare e la necessità di salvaguardare alcune parti della nostra vita lavorativa ma anche personale. Pensiamo alla giustissima discussione sulla chiusura delle scuole, in Italia praticata più che altrove: è ovvio chiedersi se l’insegnamento da remoto sia la scelta che offre il miglior rapporto fra costi e benefici. E lo stesso vale per le modalità di chiusura dei negozi, dei ristoranti e così via. Fra l’altro molte decisioni sono diverse da Paese a Paese, ed è un continuo ed essenziale cercare di capire quali funzionano meglio e perché. E a monte di tutto, c’è da tracciare il filo che separa quanto può essere lasciato alla responsabile individuale e quanto deve essere invece imposto. Ad esempio l’uso della mascherina, obbligatorio in certi Paesi dai sei anni, in altri dai dodici, in altri ancora mai, mentre in certe zone dell’Asia non c’è bisogno di imporla perché le persone troverebbero il non metterla assurdo tanto quanto uscire senza pantaloni. E a proposito; in nessuna parte del mondo esiste il diritto di decidere in totale autonomia quale parte del corpo coprire. Ovunque dipende da un misto di usanze, opportunità e rispetto degli altri. Se avete dubbi provate a entrare in una stazione della polizia con un passamontagna calato sulla faccia o ad andare a spasso in centro in koteka (trattasi di una zucca svuotata e utilizzata da alcuni uomini della Nuova Guinea come copertura per le parti intime).
Poi una ultima osservazione: quando ho letto l’articolo su Jama sul come si potrebbero radicare nel cervello idee senza fondamento, immediatamente ho cominciato a pensare quali potrebbero essersi radicate nel mio. Altri invece hanno pensato alla violazione della libertà di pensiero nella Russia sovietica. La mente umana avrà i suoi punti di debolezza, ma indubbiamente è varia.